venerdì 18 gennaio 2008

Simoniaci e barattieri nel regno dell'ipocrisia.

Simoniaci e barattieri nel regno dell’ipocrisia.


Nel canto XIX dell’”Inferno” Dante mette i simoniaci, coloro che fanno turpe mercato delle cose sacre, che sono fitti dentro fori da cui sporgono le piante di piedi accese e le gambe “infino al grosso”.
Nel canto XXI e XXII si trovano i barattieri, coloro che per lucro o per utile personale fecero mercato delle cose pubbliche, che stanno tuffati nella pece bollente, sotto la guardia di diavoli, armati di raffi.
Nel canto XXIII vi sono gl’ipocriti, che camminano eternamente gravati da una cappa di piombo.
Assistendo allo scandalo dei politici e di individui alla politica collegati nella gestione di posti di lavoro nella pubblica amministrazione e di appalti, vediamo sfilare un’enorme schiera nello stesso tempo simoniaca, barattiera ed ipocrita.
Questa schiera, che spesso si è riempita la bocca dicendo di voler affermare una politica economico-sociale più giusta, in cui tutti possano avere le medesime opportunità, in una società più libera ed equa, di fronte a quanto emerge dalle indagini della procura di S. Maria Capua Vetere, prima di Catanzaro e Potenza, rivendica la correttezza della gestione di posti di lavoro, di appalti, di fondi europei e ministeriali, in modo clientelare e da comitati di affari.
L’applauso del parlamento italiano al discorso dell’ex ministro della giustizia del 16.01.08 è eloquente.
Il modo di presentare i fatti sui giornali, nei radio giornali, nei telegiornali ha mostrato una schiera informativa perdonista su realtà, deplorevoli dal lato morale, politico, giuridico.
In generale i mass-media, al di là del finto can can, tendono all’accettazione di situazioni, indegne di una società civile, che si faccia carico della vita di tutti i cittadini.
In questo mondo di simoniaci, barattieri ed ipocriti emerge una verità: non siamo uguali.
Non lo siamo di fronte alla legge, non lo siamo di fronte al lavoro, non lo siamo di fronte alla vita.
Fu chiaro Berlusconi, nella scorsa campagna elettorale,quando affermò che non si poteva pensare che il figlio dell’operaio fosse uguale al figlio del professionista.
Viviamo in una società in cui comitati d’affari, in alcuni casi camuffati da partiti, gestiscono potere economico, finanziario, politico, informativo a vantaggio dei loro aderenti.
Viviamo in una società in cui la libertà, l’uguaglianza, la giustizia valgono solo per alcuni, non per tutti.
La società in cui viviamo non potrà mai dare all’essere umano quella civiltà in cui ognuno possa essere veramente libero nella conoscenza dai bisogni materiali e spirituali.
In questa realtà, al di là della propaganda, si formano individui che basano la vita sulla furbizia, sulle vie traverse, sull’ipocrisia, sulla slealtà, con il sorriso sulle labbra ed il serpente tra le mani.
Le persone che vivono ispirandosi alla dignità dell’essere umano, sulla tenacia, sulla costanza, sulla coerenza, sulla lealtà, sulla chiarezza, che dicono quel che pensano e pensano quello che dicono vengono messi ai limiti della dimensione sociale.
Per iniziare il duro e difficile cammino verso la libertà è importante cominciare a rendersi conto del mondo che ci circonda, studiarlo, conoscerlo e lavorare per modificarlo.
L’essere umano non deve vivere prigioniero di fame, sete, miseria, tabù, superstizioni e perdersi nel buio di un destino fatale.
L’essere umano deve vivere libero da ogni necessità materiale, deve librarsi nella conoscenza e nell’amore ed illuminarsi ne “il caldo respiro della speranza”, che porti al “dolce sapore del cielo”.
E’ amorale ed indegno di una società che vi possa essere più di metà della popolazione, che debba essere il motore del vivere economico-sociale, prendendo le briciole della torta.
Vogliamo una dimensione sociale in cui ogni essere umano possa “veder le stelle”.

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